lunedì 1 marzo 2010

ABC della 3D TV: come funziona la tv in tre dimensioni

La televisione in tre dimensioni è stata senza dubbio la tecnologia più calda del CES 2010: ne abbiamo parlato a lungo nei nostri resoconti dalle presentazioni di Sony, Panasonic, Toshiba, LG e altri... Ma come funziona davvero la visione in 3D? Cosa serve per realizzarla? Quali opzioni ci sono sul mercato?

Per quanto alta sia la definizione dell'immagine, la televisione ancora non riesce a trasferire il senso di profondità delle immagini. Questo è possibile soltanto quando i due occhi vedono un'immagine leggermente differente, così come avviene nella realtà. La visione di un’immagine diversa per ciascun occhio (visione stereoscopica) permette di ricreare la dimensione della profondità, sebbene in modo illusorio: gli oggetti appaiono su livelli differenti, e in alcuni casi sembrano uscire dallo schermo per venire incontro allo spettatore.

Questo di solito non è possibile se il video è riprodotto su una superficie bidimensionale, come un televisore o lo schermo del cinema, che viene vista contemporaneamente dai due occhi. È necessario che in qualche modo vengano proiettate due diverse immagini, e che ciascun occhio veda solo quella a lui destinata. Con metodi diversi a seconda della tecnologia e del mezzo impiegati, questo è ciò che è reso possibile dalla televisione e dal cinema in 3D. Le due immagini occupano l’intera superficie dello schermo, per cui sono quindi in qualche modo sovrapposte o intercalate tra di loro.

Per separare le due immagini e inviarle ciascuna all’occhio a cui è destinata, è necessario che lo spettatore indossi degli speciali occhiali. Senza questi occhiali, di solito si riesce a vedere solo un’immagine sdoppiata in senso orizzontale. Nelle prossime pagine vedremo come funziona la tecnologia della visione in 3D al cinema e sui televisori domestici, quali sono i requisiti minimi per poterla vedere e che tipo di prodotti arriveranno a breve sul mercato.

Nei cinema 3D, per ottenere l’immagine stereoscopica si utilizzano di solito due proiettori affiancati, che proiettano le immagini sullo stesso schermo. La separazione delle immagini per i due diversi occhi avviene in base al principio della polarizzazione della luce. La luce è composta da fotoni, pseudo-particelle che possono differire tra loro per una caratteristica detta polarità. Un normale fascio di luce è composto da fotoni con polarità verticale e altri con polarità orizzontale, in egual misura. Un filtro polarizzatore è in grado di filtrare i fotoni di una specifica polarità, lasciando passare gli altri. Applicando due filtri polarizzatori con orientamento diverso alle lenti dei due proiettori, e facendo la stessa cosa con le lenti degli occhiali dello spettatore, è possibile fare in modo che ogni occhio veda solo una delle due immagini, ricreando così l’effetto stereoscopico. Ultimamente sta prendendo molto piede la tecnologia di polarizzazione “circolare” di RealD, che non costringe lo spettatore a tenere la testa perfettamente verticale.

Questa tecnologia ha molti aspetti positivi: la qualità di visione è identica a quella del 2D (stessa risoluzione e frame rate, solo un po’ meno luminosa) e gli occhiali sono pratici, leggeri ed economici (tanto che alcuni cinema non si preoccupano nemmeno troppo di recuperarli). C’è però un grosso problema: questo sistema non è utilizzabile sui televisori, o per lo meno non senza pesanti controindicazioni. Non potendo avere le due proiezioni sovrapposte, l’unico modo per separare le due immagini consiste nell’applicare allo schermo un filtro a strisce che applichi una polarizzazione ai pixel delle righe pari, e la polarizzazione opposta a quelli delle righe dispari. Questo significa però che ciascuna delle due immagini risulterà a risoluzione dimezzata: un video 1080i verrà in realtà visto da ciascuno dei due occhi come se fosse a 540 linee. L’altro problema è che il filtro polarizzatore per lo schermo è molto costoso. Attualmente, solo JVC ha in produzione un modello di televisore LCD 3D da 43 pollici da usare con lenti polarizzate, il GD-436D10 e il suo costo è di circa 7.000 dolllari.

La soluzione adottata da tutti i produttori per portare la visione 3D sui televisori a schermo piatto (LCD e Plasma) consiste nell’alternare, nella sequenza dei fotogrammi, le immagini destinate all’occhio destro con quelle per l’occhio sinistro. Lo spettatore dovrà indossare degli speciali occhiali con otturatori “attivi” (active shutters). Si tratta di lenti in cui è presente uno strato a cristalli liquidi che si oscura in presenza di un segnale elettrico. Inviando una sequenza di segnali di oscuramento sincronizzati con la riproduzione dei fotogrammi sullo schermo, è possibile fare in modo che ciascun occhio veda soltanto il fotogramma a lui destinato.

In questo caso, l’occhio vede l’intera immagine con risoluzione “Full HD” 1080p, ma il numero di fotogrammi al secondo che ciascun occhio vede è dimezzato, cosa che rende l’immagine un po’ tremolante. Per ottenere un’immagine di qualità comparabile alla visione Full HD, è quindi necessario raddoppiare il numero di fotogrammi inviati dalla sorgente allo schermo. Se una normale sorgente video è a 50 o 60 Hz, quella di un segnale 3D deve essere almeno il doppio. Lo standard Blu-ray 3D, recentemente ratificato, prescrive infatti che un televisore 3D debba accettare in ingresso un segnale di 120 Hz (e ribadiamo “in ingresso”: negli attuali televisori, si indica con 100, 200 o addirittura 600 Hz la frequenza di visualizzazione, ma il segnale in ingresso è sempre a 24, 50 o 60 Hz). Sorge qui un altro problema: l’HDMI 1.3 non è abbastanza veloce per trasferire un video Full HD a 120 Hz, ed è stato perciò necessario aggiornare lo standard alla versione HDMI 1.4.

Come abbiamo già accennato, anche gli occhiali dovranno aprire e chiudere le due lenti al ritmo di 120 volte al secondo, in modo sincronizzato con la riproduzione dei fotogrammi. Per fare ciò, il televisore deve disporre di un emettitore wireless (a infrarossi o Bluetooth) che invia agli occhiali un segnale di sincronizzazione. Va da sé che gli occhiali con otturatori attivi, dovendo avere elettronica, batteria e cristalli liquidi, sono più pesanti, voluminosi e soprattutto costosi rispetto agli occhiali polarizzati passivi. Non ci sono ancora annunci ben chiari, ma si ritiene che un paio di occhiali con otturatori attivi costerà attorno al centinaio di euro.

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